Recensione: Nel giardino dell'orco di Leila Slimani

Nel giardino dell'orco ha colpito la critica letteraria per il tema trattato, quello della ninfomania, - tanto da assegnarle il Prix Mamounia - e per il modo freddo con cui l'autrice franco-marocchina lo ha raccontato. Troppo freddo per i miei gusti.

Nel giardino dell'orco di Leila Slimani

Titolo: Nel giardino dell'orco
Autore: Leila Slimani
Editore: Rizzoli
Prezzo: €17.00
Data di uscita: 28 aprile 2016

Trama:
Adèle cammina per le strade di Parigi la sera, dopo il lavoro al giornale, talvolta anche durante la pausa pranzo, in cerca di incontri. Ha trentacinque anni, un marito medico dedito al lavoro e un bambino di pochi anni; una vita cui in fondo manca poco per potersi dire felice. Eppure non può smettere di ribellarsi alla sensazione di vuoto che la assilla ogni giorno e che scaccia attraverso il corpo: è la fame per lo sconosciuto, da afferrare anche solo per un attimo. E non importa chi sia o dove, basta un incontro, un breve scambio di sguardi per trovare una veloce soddisfazione, o un'affinità che può trasformarsi in una vaga relazione. Dopo, Adèle sa tornare a casa, preparare la cena al bambino e infilarsi nel letto accanto a Richard, come sempre. Una febbre che non fa che salire e che trascina Adèle verso l'incapacità di gestire le due vite in cui si dibatte senza posa. Potrebbe essere facile giudicare Adèle, eppure seguiamo il suo cammino tortuoso con empatia, non riusciamo semplicemente ad accomodarci in platea, perché veniamo destati da un'impellenza, la sua, che capiamo, che da qualche parte forse abbiamo persino riposto. "Nel giardino dell'orco" non è la storia di una ninfomane, ma quella di una donna di oggi stretta nei lacci di una quotidianità come fossero spilli sul cuore.


Recensione:
Adèle è una donna libera, annoiata, audace e disinibita. Adèle è una giornalista insoddisfatta che si districa tra le responsabilità di madre borghese la cui vita è in gabbia, un nastro di seta che la stringe al collo per la maggior parte del tempo e che lei combatte trovando aria e sfogo nel sesso con gli sconosciuti, con gli amanti occasionali, nell'amore senza carezze ma in quello pieno di violenza e di allucinogeni derivanti dal piacere primigenio. Adèle è malata, Adèle è una ninfomane. Il tutto è conseguenza di una paura irrazionale, quella di sparire nel mondo, di passare inosservata e l'unico modo per mitigarla è quello di abbandonarsi agli istinti incontrollabili rifiutando la serenità e la pace che la sua vita le darebbe se solo le concedesse la possibilità di farlo. Richard, il marito, è un uomo amorevole che ama la moglie e il loro figlio ed è inconsapevole del malessere di vivere che logora Adèle. Sembra poi che quest'ultima con il matrimonio abbia solo voluto adattarsi alle regole della società, e abbia voluto dare un senso al matrimonio con un figlio che non ama e che sente solo come un peso che rallenta le sue pulsioni.
Ma non si può avere una doppia vita per sempre, e prima o poi si viene scoperti: ed è così che Richard diventa per Adèle un boa dell'anima, pronto a vendicarsi e a farle del male come il male che lei ha fatto a lui con la conduzione scandalosa della sua vita. Pronto a punirla e a chiederle se ancora fa sogni sull'acqua, quella che purifica ma che per Adèle e la psicoanalisi è anche degradante.
Nel giardino dell'orco parla di apparenze, di buchi neri nell'anima, di tormento che abbraccia il dolore occulto, di tentazioni in cui non si può non cadere perché quelle tentazioni sono l'essere stesso della persona.
È divorata dalle sue ossessioni. Non può farci niente.
Leila Slimani, di recente tornata in libreria con Ninna Nanna (ed. Rizzoli) e vincitore del prestigioso premio Concornout, non è l'unica soddisfazione dell'autrice perché anche il suo romanzo d'esordio ha vinto il premio marocchino Prix Mamounia. Premio che sicuramente sarà stato meritato, ma che come lettrice non mi spiego: sebbene il libro tratti un argomento tabù, quello della ninfomania - come si pensa sia tabù parlare di sesso in Marocco tanto da stupire l'Occidente con il Prix Mamounia assegnatole, e in maniera ovviamente sbagliata dettata dall'ignoranza generale - lo stile dell'autrice franco-marocchina per me è stato asciutto, troppo asciutto, perché ho sentito l'enorme mancanza dell'emozione, come se Leila Slimani si stesse trattenendo e desse l'illusione si star per esplodere da un momento all'altro. Uno stile ricco di descrizioni e di un lessico curatissimo, per un romanzo che è un crescendo di avvenimenti e in acceleramento di ritmo, ma che personalmente non ho trovato appagante.

Commenti

  1. Ciao, mi sono appena iscritta al tuo blog e trovo che posti articoli davvero interessanti. Se ti va di seguirmi sul mio ti lascio il link: https://lettricedisogni.blogspot.it/.

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  2. Sto leggendo il libro, per il momento sono arrivato a metà. E nemmeno io sono tanto convinto...

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