Recensione: Quel fiume è la notte di Flavia Piccinni

Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi vi propongo la recensione de Quel fiume è la notte, di Flavia Piccinni. Un titolo poetico, ma anche una scrittura poetica, profonda, toccante, dove ogni parola ha il suo giusto peso. Assolutamente consigliato!


Titolo: Quel fiume è la notte
Autore: Flavia Piccinni
Editore: Fandango Libri

Trama:
Lea è appena arrivata a Varanasi. Si è limitata a prendere un maglione a casaccio dall'armadio e a infilarlo nello zaino senza aspettarsi nulla. Deve fuggire da Cesare, mettere distanza, lasciare che il tempo vada più in fretta, e l'India è il posto giusto per smarrirsi, anche se nell'aria c'è odore di celebrazioni funebri, fiori maturi, sandalo e cera. Adriana, orecchini di perle e capelli tinti di nero, non ha fatto troppe domande sui motivi della partenza, e anche al telefono, adesso che è lontana, non indaga, rimane indifferente, ma si sa, passano gli anni e le madri restano sempre le stesse, non hanno paura di ferire, sono fatte così. Come sarebbe stata se avesse deciso di tenersi quel figlio, ora Lea non vuole saperlo. Deve dimenticare il mese di maggio, l'alba di primavera, il lettino che corre veloce, il corridoio infinito, l'infermiera che chiede Sei sicura?, la sensazione precisa che sicura, dopo l'aborto, non lo sarà mai più. Nel disordine di strade senza nome e alberghi fatiscenti, tra donne bellissime che vendono sari e venerano i propri bambini, "Quel fiume è la notte" conduce nelle zone taciute della nostra coscienza, dove regna il mistero e la vergogna. Con una scrittura sacra e livida, come le acque del Gange, Flavia Piccinni racconta il tormento di una scelta difficile, in un'epoca in cui ogni condizionamento è tabù.


Recensione:
Ci sono libri di inchiesta, e libri di denuncia, Questi ultimi, se si celano dietro ad una storia romanzata ma che appartiene ad ognuno di noi, non possono che essere amati.
Quel fiume è la notte racconta la storia di Lea, una donna che ha dovuto prendere una difficile decisione da cui non si può tornare indietro.
Lea aveva una bella famiglia, Cesare che la amava, e un bambino in grembo che non le dava pace. Lea non lo voleva quel bambino. Lea non voleva diventare madre, non se la sentiva di diventare madre, anche se questo ha significato perdere Cesare e perdere anche se stessa.

Da piccola mi hanno insegnato che il destino non è una trama già scritta, ma il risultati di un lungo dialogo con la vita.

La prima cosa che si fa una volta realizzato di essersi persi, è cercare di orientarsi. Lea si guarda intorno e si sente estranea a quella vita che prima di interrompere la gravidanza è stata sua a trecentosessanta gradi. Si guarda intorno e niente le è familiare, niente le sembra di già visto, niente le sembra un punto da cui ripartire. Allora c'è un nuovo inizio da qualche parte, lontano dagli occhi di chi la giudica e forse la considera un'assassina.

Forse, come dice Cesare, un viaggio non può cicatrizzare la colpa, nemmeno un viaggio indiano.

Il gelo della barella la assale durante la notte, le fa venire i brividi alla pelle, le entra dentro l'anima. Anche quando, grazie all'istinto di sopravvivenza forse, Lea si mette una zaino in spalla e decide di partire per un tempo indeterminato per l'India. Il paese che attrae gli occidentali, promettendo loro spiritualità e il ritrovo di se stessi; il paese che ci incanta con i suoi colori, con i lunghi e morbidi sari; il paese dove gli estremi si incontrano e convivono.
Lea è una di quegli occidentali che sperano di trovare le loro risposte in quei lunghi cammini, nel caldo umido, in sella al tuc tuc di turno. E invece nell'India trova disperazione, povertà radicata, bambini adulti, adulti che si confondono nella folla fitta.

"L'India ti stanca?"
"Sì. Mi stanca la sua povertà, il fatto che non ha veli e ti guarda mentre sta male, senza vergogna."
"Come te la immaginavi?"
"Povera a spirituale."
"E come la trovi?"
"Povera e disperata."

Lea, in un viaggio che non ha nulla di spirituale, è alla ricerca disperata di una pace interiore che sembra non tornare mai più. Del resto, prima ancora che gli altri ci giudichino e che ci mettano alla gogna per le nostre scelte, ci siamo noi che siamo troppo severi con noi stessi. Noi che non riusciamo proprio a perdonarci certe scelte, anche se sappiamo essere quelle giuste.
Lea vive una guerra persa in partenza, con il rimorso di non aver permesso la vita ad un essere che sarebbe nato dal suo corpo, lo vive pur sapendo di non essere mai stata pronta per fare la madre.
Le persone quando parlano di maternità parlano anche di sensazioni. Come faccio la madre, chi me lo insegna?, chiede una. E' una cosa che viene naturale, che ti senti dentro, risponde l'altra.
E se una donna non se la sente, invece? Perché non viene accettato?

Le cose seccano, sbiadiscono, perdono l'odore, diventano rigide e si deformano; i pensieri, quando sono dolci, si fanno indelebili e sopravvivono alle stagioni, ai traslochi, alle perdite. Sono più preziosi delle pietre, e smarrirli è il più tremendo dei dolori.

Il titolo del libro, Quel fiume è la notte, descrive appieno l'India, la storia, lo stato emotivo della protagonista e, in fondo, quello di molte donne. Un fiume denso, scuro, della stessa consistenza della melma, che risucchia Lea tra le sue acque e, invece di purificarla come il Gange fa per i fedeli, le riempie i polmoni di un senso di colpa perenne condannandola ad una pace mai raggiungibile.


Vorrei chiederle dove sta la spiritualità, se mi ci può portare e poi dove posso trovare qualcuno capace di ascoltare il battito del mio cuore e togliere quel colpo che ogni tanto suona a vuoto, nell'aria, ed è aritmico e doloroso.

Quel fiume è la notte è una storia profonda che ogni donna dovrebbe leggere per cercare di superare il tabù anche con se stessa, per prendere coraggio e riuscire a dire ad alta voce che non vuole diventare madre, se non se la sente. Un libro toccante, diretto, dove ogni parola sembra essere pesata per avere effetto sul lettore, dove la ricerca di Lea diventa anche di quest'ultimo, dove ci viene mostrata una India poco pubblicizzata ma nota a tutti. Il problema, però, è non voler vedere la realtà perché non convenzionale. Come l'aborto lecito sulla carta e senza giudizio, ma che ancora viene visto come un argomento tabù.

Chissà se l'anima, guardando il corpo che si consuma, prova dolore.

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