Recensione: Non mi sono fatto mancare niente di Piero Villaggio

Buongiorno, amanti della lettura.
Eh vabbè, io non posso farci niente: ho un debole per le copertine con un pesce rosso. Chissà perché... Ad ogni modo oggi vi parlo di una mini autobiografia di Piero Villaggio e della sua vita all'ombra del padre.
Ringrazio la Mondadori per l'omaggio in e-book del libro.


Titolo: Non mi sono fatto mancare niente
Autore: Piero Villaggio
Editore: Mondadori

Trama:
Che cosa significa essere figlio di una leggenda vivente? Certo, significa non avere problemi economici. Ma, a parte questo, può significare avere tutti gli altri, di problemi: primo fra tutti, quello di non potersi confrontare con due genitori lontani, sempre in giro per il mondo, che per farsi perdonare ti colmano di regali e non ti sgridano mai… C'è nel libro una scena memorabile, che risale all'infanzia dorata di Piero: «Una mattina di tanti anni fa mio padre mi porta all'edicola dei Parioli. Sapeva che facevo l'album dei calciatori – tutti avevamo l'album dei calciatori Panini – e così mi porta a comprare qualche pacchetto… Ho sentito dire che il desiderio muove il mondo, che non c'è cosa che accada se non la desideri. E così, quella mattina di mille anni fa, mio padre portò me, ragazzino, pieno di aspettativa innocente e febbrile, davanti all'edicola… "Che vuoi?" "Le figurine." "Buongiorno," dice Paolo all'edicolante "mi dà tutte le figurine che ha?" Fortuna vuole che era appena arrivato un carico di pacchetti. Papà li compra tutti, pensando di farmi felice… Strano, io in quel momento ho sentito come un secchio d'acqua sul mio piccolo fuoco di desiderio. Sapevo di aver completato l'album in quell'istante, con un'unica soluzione. E insieme all'album finiva anche lui: il desiderio. Celo, manca, celo, manca. Celo tutte, manca niente, addio gioco.» Questo libro racconta, con sorprendente efficacia e molta ironia, una vita che, da quella «scena primaria» delle figurine, è stata una lunga e vertiginosa discesa nell'abisso della droga. Prima assaggiata con nonchalance («tanto smetto quando voglio»), poi diventata ossessione, ragione di vita, devastante presenza fissa. Fino al bivio fatale: morire o andare in comunità, e scontare i privilegi del passato in tre anni di umiliazioni, violenze, spogliato di tutto e più di ogni altra cosa della libertà.
Non mi sono fatto mancare niente è un libro a suo modo struggente, dove i ricordi drammatici si alternano a momenti di sublime divertimento. E dove Villaggio junior pratica con assoluta padronanza l'ironia e l'autoironia, il gusto del grottesco, il senso del comico e il senso del tragico… Vi ricorda qualcuno?


Recensione:
Noi stiamo qui, sul divano, e guardiamo comodi i film, le serie tv, Sanremo e spesso invidiamo le vite di quei vip che - diciamolo perché lo abbiamo pensato tutti, eh - non fanno molto nella vita e guadagnano un tir di soldi. Poi guardiamo anche i figli di questi vip, che hanno già la strada spianata per qualsiasi cosa vogliano fare, e magari noi studiamo all'università ma non passa giorno dove temiamo di non farcela poi. Peccato che dietro quello schermo si nasconde tutt'altro, e sappiamo anche questo, solo che non vogliamo vederlo. Non mi sono fatto mancare niente di Piero Villaggio parla proprio di questo, della vita da figlio di un vip, sin dall'adolescenza. Di come il padre, il famoso e amato Fantozzi, abbia avuto quella botta di fortuna che ti cambia la vita, come nel film "Ho vinto la lotteria di Capodanno", ricordate? Improvvisamente Paolo Villaggio diventa la star comica del cinema italiano e assieme alla fama arrivano anche i soldi che non fanno mancare nulla né a lui né alla sua famiglia, economicamente parlando.

E poi, la cosa che loro non hanno mai capito, o hanno capito tardi, ossia che due erano state le precise condizioni che avevano contribuito alla mia tossicodipendenza: i soldi facili e, soprattutto, una libertà infinita e non vigilata da alcuna autorità.

Lasciato a parte il portafoglio famigliare possiamo dire che Piero, il figlio, e la sorella si sono sentiti poveri di genitorialità. Sin dall'adolescenza si ritrovano a vivere da soli, a crescere prima del tempo, a imparare l'arte dell'arrangiarsi. E se da una parte gli adolescenti farebbero carte false per vivere da soli ed essere "liberi", dall'altra Piero sente la mancanza di una figura paterna e materna nella sua vita. Gli manca essere sgridato, aiutato, consolato, avere un dialogo con chi l'ha messo al mondo, che siano le emozioni a parlare e non i soldi di papà. Senza controllo, e frustrato, Piero si lascia andare alla corrente e inizia a fare uso di droghe, senza troppi giri di parole o pensieri, tranne uno: smetto quando voglio.

L'eroina è una strada senza uscite. Un tunnel, appunto, che ha l'entrata dorata di un paradiso ma, dentro, nasconde un formidabile inferno. E poi, se ne esci, quando ne esci, ti lascia in un eterno purgatorio.

Un'illusione quasi, una consolazione per tutte quelle volte in cui fallisce la disintossicazione perché, come mi ha insegnato un anziano burbero, "nessuno può essere salvato, se non lo vuole" e forse Piero non lo vuole. Non lo vuole quando oltrepassa la dogana con una valigia piena di eroina, quando un po' di questa uccide la sua ragazza, quando il padre paga migliaia di euro in una clinica svizzera per "ripulirlo", quando è a Los Angeles e rubare diventa l'unico modo per procurarsi la droga.
Piero è completamente perso perché, è vero, gli è stata data una bussola -i genitori- ma gli è stata tolta prima che imparasse ad orientarsi. Non sa che fare nella vita, non sa che farsene della sua di vita, e si lascia andare alla vita come viene. Fortunatamente, però, quei genitori un giorno lo prendono per mano e lo lasciano a San Patrignano per poi lasciarlo nuovamente. Qui Piero, che lo voglia o meno, si disintossica. Ma forse un po' lo vuole, per questo oggi è un uomo fatto che, anche se si sente un fallito, è pulito ed è libero dalla droga.

Ho un disagio interiore che non so spiegare.

Io non sono un'amante del cinema italiano, ma chi è che non conosce Fantozzi? Solo che in questo libro è una figura fantasma e forse rispecchia lo stesso assenteismo nella vita del figlio. Piero, con questa mini autobiografia, ci parla di sé e di come alla fine ha messo al tappeto la sua dipendenza, ma lo fa come se fossimo degli amici a cena e senza farci sentire a disagio, con parole che sembrano essere lievitate dentro di lui per troppo tempo, con parole che però non nascondono tristezza ma neanche l'orgoglio di aver ripreso la sua vita in mano e di aver smesso, questa volta per davvero.

A me SanPa ha dato tutto quello che i miei non mi hanno dato, che non sono riusciti a darmi, o che io non ho imparato a ricevere: la responsabilità, il rispetto per gli altri, il rispetto delle regole, equiparabile a quello per gli altri, e un senso di appartenenza che superasse quello per il piccolo circolo malefico della sostanza.

Commenti

  1. Siham, neanch'io sono una fan del cinema italiano, non lo seguo per nulla, ma alcuni personaggi sono impossibili da conoscere. Gli estratti che hai messo mi sono piaciuti molto =)

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    1. Ah, mi spiace ma il cinema italiano non è dei migliori, per niente! Ma anche quello francese, eh.
      Sono contenta ^^

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  2. Finalmente ho un po' di tempo e vengo a leggere le tue recensioni, ormai sei un appuntamento fisso ^^
    E allora ti dirò che questo romanzo non lo avevo davvero notato, non ne sapevo niente, eppure è una lettura che mi affascina molto.
    Anche io non sono una grande seguace del cinema italiano ma ovviamente conosco il personaggio "Fantozzi", pure non sapevo niente di Paolo Villaggio, della sua famiglia, dei suoi figli.
    Hai scritto una gran bella recensione e hai centrato in pieno il punto, spesso esaltiamo esistenze, che sono in realtà gabbie dorate e l'eroina è un tunnel subdolo dal quale davvero è impossibile uscire tutti interi...

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    1. Grazie, Jerry, detto da te poi mi fa felicissima <3
      Il personaggio Fantozzi credo lo conoscano anche negli Stati Uniti, ormai.
      Esatto, e qui abbiamo la testimonianza di un uomo che ce la fa, nonostante si senta un fallito.

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  3. Libro scritto in maniera schietta e diretta, scorrevole.
    A mio avviso avrebbe dovuto essere più incisivo sul fatto di far passare il messaggio che la droga uccide.
    Per il resto: il padre può essere stato sì assente, ma la testa in fin dei conti è del figlio...
    E' quasi patetico lo scaricabarile sui genitori

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    1. Sono d'accordo, ma c'è anche da dire che molti degli atteggiamenti che i nostri genitori hanno su di noi, condizionano la nostra personalità. Se si è fragili e deboli, ancora di più, come nel caso di Villaggio Junior :)

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