Recensione: L'invenzione della madre di Marco Peano

Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi vi parlo di un libro che non si può dimenticare, come non si dimenticano mai le cose che ci fanno male.


Titolo: L'invenzione della madre
Autore: Marco Peano
Editore: Minimum Fax

Trama:
Questa è una storia d’amore. Si tratta dell’amore più antico e più forte, forse il più puro che esista in natura: quello che unisce una madre e un figlio. Lei è malata, ha poco tempo, e lui, Mattia – sapendo che non potrà salvarla, eppure ostinandosi contro tutto e tutti – dà il via a un’avventura privatissima e universale: non sprecare nemmeno un istante. Ma in una situazione simile non è facile superare gli ostacoli della quotidianità. La provincia in cui Mattia abita, il lavoro in videoteca che manda avanti senza troppa convinzione, il rapporto con la fidanzata e con il padre: ogni aspetto della sua vita per nulla eccezionale è ridisegnato dal tempo immobile della malattia. Un rifugio sicuro sembrano essere i ricordi: provare a riavvolgere come in un film la memoria di ciò che è stato diventa un esercizio che gli permette di sopportare il presente. Ma è davvero possibile sfuggire a se stessi? In questo viaggio dove tutto è scandalosamente fuori posto, è sempre il rapporto con la madre a far immergere Mattia nella dimensione più segreta e preziosa in cui sente di essere mai stato. Raccontando di questo everyman, grazie al coraggio della grande letteratura, Marco Peano ridà senso all’aspetto più inaccettabile dell’esperienza umana: imparare a dire addio a ciò che amiamo.


Recensione:
Ci sono quei libri che fanno male. Fanno male perché toccano ferite ancora calde, fanno male perché fanno vibrare paure irrazionali, fanno male perché soffiano sui ricordi, fanno male perché fa freddo e da dentro le emozioni si appannano.
L'invenzione della madre fa male. E c'è male e male: c'è quel male che si sopporta e che poi, come dei masochisti, ci piace; e poi c'è quel male che si vuole dimenticare. L'invenzione della madre è di quest'ultima categoria.

Per rilassarsi prova a fare quell'esercizio che la madre gli ha insegnato quand'era piccolo: pensare a una cosa bella per scivolare nel sonno. Di solito funzionava, ma ora ogni cosa bella è collegata alla madre. Ogni suo ricordo coincide con lei, come se non avesse vissuto un sono secondo felice in cui il pensiero di lei fosse lontano. E quell'espediente diventa motivo d'ossessione.

Il motivo è semplice e ha un nome con la R, la lettera che appesantisce il suono, il concetto che appesantisce la mente: cancro.
Noi siamo lettori, e in ogni libro c'è una parte di noi e della nostra vita, che poi lo sappiamo o meno è un altro discorso. E forse anche ne L'invenzione della madre c'è una parte della vita di Marco Peano, raccontata da Mattia, il protagonista.
Mattia è un giovane uomo che vede sua madre martoriata da più cancri: seni, cervelletto, colonna vertebrale. Un corpo martoriato, aperto, svuotato, tagliato, cucito, richiuso. Un corpo che ha visto una guerra senza fine, intervallata, ma senza fine.

Osservando la madre respirare, gli era venuto in mente di riempire dei palloncini con il suo fiato, per poi tenerli da qualche parte come provviste per l'inverno. Quando la mancanza sarebbe stata insostenibile, Mattia avrebbe potuto prendere uno di quei palloncini preziosi, avvicinarlo alla bocca e aspirare quel fiato. Inalare sua madre.

Una madre guerriera che si guarda allo specchio, nuda, e piange. Mattia la spia di nascosto, prova dolore, il suo occhio sembra spegnersi e riaccendersi, si preoccupa. Il padre assiste la moglie dopo che la dimettono, e sanno che se ti dimettono o stai per guarire o stai per morire. E sorge spontanea la domanda, silenziosa, "quanto le manca?".
Il tempo dannato, il cancro avanza, il corpo che urla pietà. Un figlio che si vede sottrarre la madre, una fidanzata che si vede togliere Mattia diventato un disadattato, un padre che aspetta.
Fa male, fa male tutto. Si sente il dolore di Mattia, la sua paura di rimanere orfano di madre, di rispondere alle persone con "è mancata", di andare avanti, la sua incapacità di approfittare del tempo per dimostrare alla madre il suo amore, la sua impazienza, rassegnazione. Si sente tutto, e fa male.

Perché quando la dottoressa piccolina ha detto loro dieci-dodici mesi, due universi si sono scissi: in uno la madre di Mattia è riuscita a invecchiare. Nell'altro, il posto in cui sono intrappolati, il figlio si è dato un compito: correre più veloce del cancro. Correre, vivere con la madre tutte le esperienze che la madre arriverà a negare. Correre, per non perdere neanche un minuto di vita della madre. Ma il cancro ha molto più fiato di lui.

Ma mai come fanno male le descrizioni della malattia, il suo evolversi, il suo avanzare, i confini del corpo e delle emozioni diventano sempre più sottili, si grida la ritirata. Molte volte ho posato il libro, sono andata a farmi un giro, a riempire i polmoni d'aria perché non ne potevo più e mi dicevo che preferivo si approfondisse di più il dolore di Mattia che, anche se sottinteso era assordante, piuttosto che palpare la morte di un corpo. Il corpo di una madre.

Mattia fissa il soffitto, ascolta il vento che fischia fuori. Conosce quel suono, ha imparato a decifrarne il rumore tra le foglie: è il ventre vuoto della terra che cerca la madre. Di notte le viscere del mondo si spalancano, rivelando una porzione di terreno grande esattamente quanto il corpo di lei. Ma finché madre e figlio riescono a stare barricati lì dentro sono al sicuro, finché quella notte persiste lasciando tutte le cose addormentate - finché la tessera della videoteca, il libretto dell'automobile e tante altre cose possiedono il suo nome -, la morte non potrà arrivare a reclamarli.

Ed è così che in neanche tante pagine si sente di tenere tra le mani un macigno, ogni pagina è stancante, ogni paragrafo un'impresa.
L'invenzione della madre non è facile, soprattutto se l'argomento cancro ci tocca in prima persona, e qui si parla di tre cancri, e noi tutti siamo stati o siamo dei figli.
Non nascondo di aver avuto alte aspettative sul libro di Peano, e non nascondo neanche il fatto che se il libro avesse parlato più del dolore di Mattia e meno della malattia, lo avrei apprezzato molto di più. Ma lo consiglio ai coraggiosi, ai pazienti, a chi non vuole dimenticare, a chi vuole un po' di speranza e, infine, a chi vuole imparare ad amare il presente e preparasi al passato di domani. All'arrivederci finale, qui, dove stiamo tutti.

Orfano è una parola che stringe nelle spire delle o in apertura e in chiusura chi la indossa: due catene circolari che ammanettando a un infinito presente. Eppure è così facile da pronunciare, un suono che ricorda le fusa dei gatti, un soffio morbido che arriva da dentro e getta fuori l'aria: orfano.

Commenti

  1. Ho letto opinioni molto simili alla tua e per questo lasciato in libreria un libro che, sebbene mi attiri molto per il tema, d'altra parte per lo stesso motivo, ho paura ad affrontare. Forse in futuro, ma non so, ci credo poco, avrò il coraggio di leggerlo.

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    1. Io invece non ho ancora letto recensioni su questo libro, ma se tu mi dici così suppongo che sia stata l'impressione di molti. E se non riesci a prenderlo e portarlo a casa, un motivo c'è :)

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