Recensione: Riparare i viventi di Maylis de Kerangal

Buongiorno, amanti della lettura!
Oggi riprendo la mia routine universitaria e, mentre sono nel bel mezzo delle lezioni, vi lascio alla recensione di un libro che ho amato sin dalle prime pagine. Purtroppo però con lo scorrere di queste ha perso la sua magia ed è diventato troppo pesante da reggere. Vi spiego perché nella recensione.


Titolo: Riparare i viventi
Autore: Maylis de Kerangal
Editore: Feltrinelli

Trama:
Tre adolescenti di ritorno da una sessione di surf su un furgoncino tappezzato di sticker, tre big wave rider, esausti, stralunati ma felici, vanno incontro a un destino che sarà fatale per uno di loro. Incidente stradale, trauma cranico, coma irreversibile, e Simon Limbres entra nel limbo macabramente preannunciato nel suo cognome. Da quel momento, una macchina inesorabile si mette in moto: bisogna salvare almeno il cuore. La scelta disperata del trapianto, straziante e inevitabile, è rimessa nelle mani dei genitori. Intorno a loro, come in un coro greco, si muovono le vite degli addetti ai lavori che faranno sì che il cuore di Simon continui a battere in un altro corpo. Tra accelerazioni e pause, ventiquattro ore di suspense, popolate dalle voci e le azioni delle persone che ruotano attorno a Simon, genitori, dottori, infermiere, équipe mediche, fidanzata, tutti protagonisti dell'avventura, privatissima e al tempo stesso collettiva, di salvare un cuore, non solo organo, ma sede e simbolo della vita.


Recensione:
Desideravo leggere questo libro dal giorno della sua uscita, quel titolo mi ha conquistata prima ancora di leggere la trama. Riparare i viventi. Riparare la vita. La vita umana. Perché noi ci rompiamo, ci spezziamo, alcune cose dentro di noi possono cessare di funzionare e necessitiamo di essere riparati. Questo succede al giovane Simon, rotto dal suo più grande amore, rotto dalla sua passione e l'ultima che avrebbe pensato potesse fargli del male. Simon con gli amici che si svegliano all'alba per far loro tutte le onde della spiaggia, per possederle, cavalcarle, sentirsi onnipotenti quasi come se camminassero sull'acqua. Sentire il gelo dell'acqua sulla pelle e il formicolio freddo dell'adrenalina nel corpo.

Le sembrò persino che lo spazio intorno a lei si fosse leggermente gonfiato per contenere l'incredibile energia racchiusa nella materia, quella potenza interna che poteva trasformarsi in forza di distruzione inaudita semmai si fosse arrivati a scindere gli atomi.

E sempre freddolosi corrono sul camioncino per tornare a casa, ora stanchi, assonnati, soddisfatti come solo chi fa ciò che ama sa cosa si prova. Percorrono la strada per tornare nei loro letti, profumati di mare, sale, freschezza e giovinezza. E il destino si inceppa. Si inceppa e quel camioncino esce fuori di strada.
Le madri inconsapevoli, i padri pure, al sicuro lontani da quella curva. Dicono che le madri sentono se i figli sono in pericolo, sentono un brivido lungo la schiena, ma Marianne, la madre di Simon, infilata sotto le coperte, non sente nulla.

Un giorno dovrà capire in quale direzione scorre il tempo, se è lineare oppure traccia i cerchi rapidi di un hula hoop, se ferma degli anelli, si avvolge come la nervatura di una conchiglia, se può prendere la forma in quel tubo che ripiega l'onda, aspira il mare e l'universo intero nel suo rovescio scuro, sì, dovrà capire di cosa è fatto il tempo che passa.

Il destino si sblocca, riprende il suo corso. C'è la telefonata, lo shock, la corsa in ospedale, il decesso celebrale di Simon, i graffi degli amici, quella maledetta cintura non allacciata. Simon su un letto d'ospedale e i medici ogni tre ore fanno gli esami per controllare se c'è ancora vita, e ogni tre ore è lo stesso verdetto: Simon non si sveglierà mai più. È morto. Rotto. E com'è possibile? Perché quel letto confonde. Simon è caldo, il cuore batte, il petto si alza e scende mentre i polmoni respirano. Sembra un profondo sonno, non sembra morto. Quel letto confonde.

Irreversibile, sei sillabe che cristallizzano lo stato delle cose e che lei non pronuncia mai, sostenendo invece il flusso continuo della vita, il possibile ribaltamento di ogni situazione, niente è irreversibile, niente, è solita afferrare a ogni piè sospinto - e quando lo fa assume un tono leggero, fa oscillare quella frase così come si scuote con dolcezza chi è scoraggiato, niente è irreversibile, tranne la morte, l'handicap, e forse allora fa una piroetta, gira su se stessa, addirittura si mette a ballare.

E ancora una volta, comincia una corsa lì dentro, tra i vari reparti, i vari responsabili, mentre Marianne e il marito Sean sprofondano in un dolore denso quasi irreale. Una corsa di ventiquattro ore per poter avere ciò che in Simon non è rotto: il cuore, i polmoni, i reni, il fegato. Pezzi mancanti in altre vite, vite da riparare.

E invece sembrava quasi che quei due, pian piano, si dissociassero dal resto del genere umano, migrassero verso i confini della crosta terreste, lasciassero un tempo e un territorio per iniziare una deriva siderale.

Il libro di Maylis de Kerangal è poesia. Amo i libri intensi, che ti colpiscono dritto al cuore, che ti inondano con le loro emozioni, emozioni forti. Ho apprezzato il narrare della storia da tutti i punti di vista, dagli occhi di chiunque fosse coinvolto. Così scopriamo l'infermiera e la sua vita, i medici e la loro vita, la fidanzata di Simon, chi riceverà l'organo e così via. Conosciamo ogni singolo pensiero di quasi tutti i personaggi, senza sentirci invadenti.

Bocche spalancate, sguardi che vagano a livello del tavolino, mani che si torcono, e quel silenzio interminabile, fitto, nero, vertiginoso, mescola il panico alla confusione. Un vuoto si è aperto davanti a loro, un vuoto che possono immaginare soltanto come "qualcosa" perché il "niente" è inconcepibile. Si dibattono dinanzi a quel vuoto d'aria, insieme, anche se non li agitano gli stessi interrogativi, nè le stesse emozioni.

Ma, c'è un ma. Riparare i viventi è partito assorbendo tutta la mia attenzione, però più andavo avanti con le pagine più diventava pesantuccio. A livello della forma, con periodi lunghissimi separati da virgole o punti e virgole (come si può dedurre dai pezzettini di libri che potete leggere qui). Ma anche a livello emotivo, perché è vero che mi piacciono i libri emozionanti, ma Riparare i viventi è troppo emozionante, tanto da diventare insopportabile reggerlo. Ecco, è.... Troppo. Solo troppo.

Seppellire i morti e riparare i viventi.

Commenti

  1. Appena letto il titolo anche io ne sono stato attirato. Ma no ho pensato ha una riparazione fisica diciamo, pensavo più a qualcosa di mentale e spirituale. Credo ci sia anche questo nel libro da quello che ho capito, ma non so in che misura. E mi incuriosisce davvero tanto il tuo giudizio finale. Troppo, può voler dire tante cose. Anche se tu lo hai spiegato in parte, sono ancora confuso. Ma mi attira lo stesso, quindi bando alle ciance, nuova aggiunta alla lista ;)

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    1. Ed è così, le persone devono essere riparate, Come si strappa via un organo, si strappa via un legame, un'emozione, un amore, una dipendenza, un pensiero. La maternità e il diritto ad avere dei genitori, ad esempio. La speranza che si nutre verso la morte di qualcuno per avere la vita per se stessi, un altro esempio.
      Troppe emozioni pesanti, scritte con metafore esagerate che è come se riempissero il bicchiere delle emozioni, immaginiamo, e ad un certo punto queste traboccano dai bordi e iniziano a spargersi per terra e io inizio a spostare i piedi perché sono troppo anche in quel senso. E lo stile e la forma, i periodi lunghi, non ti fanno riprendere fiato. Se questi non lo fossero stati, non ci sarebbe stato quel troppo.

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  2. Ci sono quei libri che sono troppo. Troppo per leggerli, troppo per finirli o anche solo iniziarli. Troppo perchè toccano corde di noi stessi che non vorremmo fossero mai toccate, troppo perchè ci entrano così dentro che diventano insopportabili.
    Credo proprio che lo leggerò!

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    1. Esattamente, tata <3 Questo è diventato "irreggibile", termine coniato da Siham per dire che non sono più riuscita a reggerlo XD

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